martedì 12 ottobre 2010

OVIDIANA : IL PARADISO OUO' ATTENDERE - La coraggiosa ironia di Ovidio da Tomi

OVIDIANA : IL PARADISO PUO' ATTENDERE - La coraggiosa ironia di Ovidio da Tomi


Scrive Lusi- Berrino in "L’ironia di Ovidio verso Livia e Tiberio ".Edipuglia 2010,p. 94

“Sbagliano quelli che descrivono un Ovidio lamentoso e sconfitto dalla relegazione nelle gelide terre della Romania. Il poeta sulmonese seppe trovare le armi dell’ironia e usarle proprio contro la moglie del sommo Augusto e contro il figlio di lei, Tiberio, successore del padre della Patria. Sotto il velo della supplica rivolta alla donna più potente dell’Impero, si nascondono pesantissime allusioni, che servono ad Ovidio per sostenere la successione di Germanico o, comunque, la preferenza per la “gens iulia” rispetto a quella “claudia”. Si spiega, così, l’insuccesso delle numerose richieste di perdono, che il Sulmonese fece avanzare anche dalla sua terza moglie, Fabia, imparentata con una potente famiglia romana e, pur tuttavia, disperatamente respinta nei suoi commoventi tentativi.

Ovidio nel suo esilio (che era più precisamente una relegazione in quanto non gli furono confiscati i beni e conservò alcuni diritti di cives) non perde la testa: abbiamo visto in precedenti articoli che si rifiutò sempre di svelare i nomi di coloro che parteciparono alla corrente filo-antoniana per la successione di Augusto; non si piegò a rinnegare la sua adesione al circolo che girava intorno a Giulia, nipote di Augusto e costretta ad un esilio dorato prima ancora dello stesso Ovidio. Ne emerge l’immagine di un letterato fiero, per niente disposto ad essere costretto solo nella sua funzione di narratore del mito e di elegante scrittore di versi eterni: quella, sì, sarebbe stata per il Nasone una vera relegazione, irreversibile anche allo sguardo dei posteri. Egli, che già aveva predetto una verità (“Sarò chiamato gloria della gente peligna”) era impegnato politicamente e avrebbe potuto celebrare un altro impero ed altri principi se la sua corrente avesse avuto il sopravvento sulle articolate trame della moglie e poi vedova del più longevo dei principi romani.

Con incessante pazienza di ricercatori, persuasi del nuovo profilo di Ovidio “rivoluzionario”, Aldo Luisi e Nicoletta Berrino hanno dato alla luce proprio nell’anno che sta per chiudersi un altro contributo alla tesi di un poeta schierato e eroicamente convinto della sua scelta, anche a costo di scontarla con l’”esilio” a vita. Pezzo per pezzo, viene tratteggiata l’immagine di un uomo che paga con coerenza le conseguenze del suo schierarsi, consapevole che altri le hanno pagate con la vita.

Con Livia non si scherzava e lo stesso Tacito individua più di un sospetto nel suo coinvolgimento della morte di Agrippa Postumo, ma soprattutto dei giovanissimi Lucio e Gaio, che Augusto aveva designato come successori e la scomparsa dei quali sgombrò il campo alla ascesa di Tiberio, figlio di primo letto di Livia. Esagerazioni di chi poteva guardare con distacco (essendo passati cinquanta anni dalla morte della “imperatrice”) e poteva riscrivere una storia di Roma meno conformista? Forse, se si considera che il grande storico giunse a sospettare l’anziana “matrigna perversa” anche della morte di Augusto. E’ l’apice della storiografia ostile, ma non dovevano essere lievi le critiche dei contemporanei, soprattutto perché le perplessità di Augusto su Tiberio erano note a molti. In un quadro simile, paragonare Livia alla moglie di Zeus suona certamente eccessivo. Eppure Ovidio, quando si rivolge a sua moglie Fabia nelle Lettere dal Ponto per indurla ad una nuova supplica verso l’”imperatrice”, è eccessivo, come chi vuol fare feroce ironia: “quando sarai in presenza di Giunone… pronuncia solo preghiere, gettandoti a terra in lacrime, afferrati ai piedi dell’immortale… ma confusa dalla paura a stento dirai, con voce tremula, questo. Ciò non penso che ti rovini. Ella vedrà quanto ti intimorisca la sua maestà”.

E che dire del paragone della ormai settantenne Livia con Venere ? “Voglio ricordare – annota Luisi – che in quel momento, dopo l’anno 12 d.C., Livia aveva sett’antanni passati, con un volto non privo dei segni del tempo e con un curriculum di azioni alle spalle non scevro di commenti negativi”. E poi, ancora, l’ironia del poeta passa per il parallelo tra Livia e le caste matrone romane (in occasione delle feste dell’11 giugno, i Matrialia) proprio lei che veniva da un altro matrimonio. E il gusto che Ovidio assapora nel definire Tiberio “natus” da Augusto, quando il futuro imperatore era invece nato da Livia e Tiberio Claudio Nerone e si poteva considerare solo “filius” di Augusto.

Insomma, schiaffi a ripetizione Ovidio riserva alla moglie del grande Augusto, pur avendo conservato tutto il suo rispetto e l’ammirazione per l’imperatore, anche dopo l’anno 14, quando il “Cesare” morì. Beffe di chi, forse, si sente perduto nella sua relegazione di Tomi; ma anche virili incitamenti a chi era rimasto a Roma e poteva ancora cambiare il corso della storia imperiale. Un uomo di statura morale molto più alta di quella che qualche ricerca letteraria distratta o conformistica ha voluto ritagliargli in duemila anni di riflessioni. Dall’anno 8, quando il Sulmonese fu raggiunto dall’editto di relegazione che (insolitamente) recava la firma dello stesso imperatore, fino ai giorni nostri, fino a questo ultimo, prezioso contributo di Luisi, l’”error” del vate è stato circondato di dubbi e ripensamenti, ma va conquistando il significato di una scelta che semplicemente non fu coronata dalla fortuna e si discostò dal corso degli avvenimenti. Se ne può fare una “colpa” al Nasone?

Fonte www.ilvaschione.it


Eremo Via Vado di sole , L’Aquila, martedì 12 ottobre 2010




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