venerdì 29 ottobre 2010

HISTORICA : Il montepulciano della Valle Peligna


HISTORICA : Il montepulciano della Valle Peligna (I)


E' nota la leggenda secondo la quale Annibale guarì i suoi cavalli dalla scabbia dopo averli lavati con abbondante Montepulciano d'Abruzzo.

La viticoltura della civiltà romana ha conosciuto un vero progresso tecnico nel periodo che va dalle origini di Roma alla seconda metà del I secolo d.C. Preziose testimonianze ci sono fornite da Marco Porcio Catone (234-149 a.C.) uomo politico romano, che nel suo trattato De Agricoltura illustra le pratiche colturali dell’epoca che ancora oggi sono a fondamento di una produzione viticola che privilegia la qualità piuttosto che la quantità. Egli insisteva sulla necessità di valutare le condizioni climatiche e la natura del terreno prima di scegliere un vitigno da impiantare; privilegiava, inoltre, la tecnica dell’innesto piuttosto che la riproduzione delle viti per seme e raccomandava la concimazione dei terreni col letame e con la pratica del sovescio, oggi tornata in auge con la diffusione dell’agricoltura biologica.

Per quanto riguarda i sistemi di allevamento della vite, nella Valle Peligna, per un periodo piuttosto lungo, si è praticato sia l’allevamento ad alberello sia il sistema della vite maritata agli alberi, introdotto dagli Etruschi e particolarmente diffuso nell’Italia centrale e settentrionale.

Per ciò che concerne, invece, la tecnica enologica, sappiamo che gli antichi romani avevano locali per la pigiatura, che avveniva con i piedi come nelle nostre zone fino a qualche anno fa, ambienti per la fermentazione e la conservazione del vino, oltre che una serie di attrezzature. Tra queste vi era un torchio, decritto da Plinio il Vecchio nel I secolo d.C., del tutto simile a quello usato ancora oggi nelle piccole aziende, dove si produce vino per il solo fabbisogno familiare. Anche i contenitori avevano foggia diversa a seconda dell’uso. Nelle campagne dell’attuale centro di Vittorito sono stati rinvenuti frammenti di dolii in terracotta, contenitori usati nel periodo romano per il trasporto o la conservazione del vino, olio e grano, e resti di numerose villae rusticae, tra le quali alcune di proprietà della nota famiglia corfiniese degli ACCAVI. Tali ville erano delle vere e proprie fattorie che, oltre al nucleo abitato, erano provviste di stalle e, per l’appunto, di vani per la lavorazione e la conservazione di vino e olio.

Dal 91 all’88 a.C. la Valle Peligna fu sconvolta dalla violenza inaudita della cosiddetta “Guerra sociale” che le popolazioni italiche condussero contro Roma per ottenere la cittadinanza romana, eleggendo a loro capitale Corfinio, antica città peligna, ribattezzata Italia. A dispetto di questi tristi avvenimenti, l’economia della regione in tale periodo è piuttosto fiorente: vengono introdotte nuove tecniche colturali e si moltiplicano gli scambi economici e culturali.

Il poeta latino Publio Ovidio Nasone, nato nel 43 a.C. a Sulmona, cuore della Valle Peligna, esiliato da Augusto a Tomi nel Ponto sul Mar Nero, rievoca con questi versi pieni di malinconia la sua terra natale: “Pars me Sulmo tenet Peligni tertia ruris/Parva, sed inriguis ora salubris aquis…/Terra ferax Cereris multoque feracior uvis/Dat quoque baciferam Pallada rarus ager…” [Sulmona, la terza parte (del dipartimento) della campagna Peligna mi cresce/Piccola (terra) ma salubre per le acque irrigue/Terra fertile cara a Cerere e molto più fertile per le uve/Un raro territorio che dà anche l’ulivo Minervino…] (Amori, Libro II).

Qualche anno più tardi un altro poeta latino, Marco Valerio Marziale, ci propone un interessante accostamento dei vini peligni a quelli toscani: “Questa non è come l’uva che pongono sotto i torchi in terra Peligna, né è quella che nasce sui gioghi di Etruria” (Epigramma 65, Libro V), distinguendoli da quelli, a quanto pare di poco pregio, della Marsica: “I coloni peligni mandano i torbidi vini della Marsica; tu non li bere, ma lascia sorbirli al tuo liberto” (Epigramma 121, Libro XIII). Curiosa è pure l’abitudine del tempo, che ci viene riferita dal poeta, di bere i vini peligni accompagnati dalla neve che in tal modo acquistavano un sapore molto particolare (Epigramma 116, Libro XIV).

Dei vini della Valle Peligna si interessò un altro grande scrittore dell’antichità: Plinio Secondo il Vecchio, vissuto tra il 23 e il 79 d.C. Nella sua Naturalis Historia si sofferma a lungo a descrivere le pratiche agricole e i vini prodotti dai contadini nella fertile conca di Sulmona: “Tutto ciò che essi sono soliti seminare richiede al massimo l’irrigazione. Al contrario, ciò che nasce nei luoghi aridi non richiede acqua, se non strettamente necessaria. Nell’agro Sulmonese, sul pago Fabiano, le uve troppo agre vogliono essere irrigate: E (meraviglia!) quell’acqua, mentre distrugge le erbacce, fa crescere le biade: in luogo di solchi fanno canali. Nello stesso agro, affinché il freddo invernale non faccia seccare le viti, specie se ci sono la neve e il gelo, fanno accorrere l’acqua nei canali e dicono che così le riscalda; il che avviene per la straordinaria qualità delle acque di quel solo fiume, che, al contrario, d’estate, sono così fredde che a mala pena possono essere sopportate”. Plinio ci ha tramandato anche interessanti informazioni sul modo in cui gli antichi Romani bevevano, alludendo alla pratica di mescolare al vino acqua di mare e vino cotto.

Nella Valle Peligna, in età romana, venivano coltivate la selvatica “Vinifera Silvestris” e le cosiddette uve “Apiane” di probabile origine siciliana. Queste ultime avevano sapore dolcissimo e possono essere considerate a buon diritto le antenate degli odierni Moscati.

In questo periodo era ignoto il processo chimico della fermentazione, scoperto solo nel XIX secolo grazie agli studi di Louis Pasteur. Tuttavia erano in uso validissime tecniche enologiche: il mosto, dopo la pigiatura, veniva sottoposto a una prima filtrazione, seppure alquanto grossolana, dopo di che veniva posto a fermentare in contenitori di legno o di terracotta in un ambiente arieggiato e fresco. Il vino così prodotto non veniva consumato se non dopo un travaso primaverile.


Eremo Via vado di sole ,L'Aquila, venerdì 29 ottobre 2010



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