lunedì 25 ottobre 2010

SETTIMO GIORNO : Chiunque si esalta sarà umiliato


SETTIMO GIORNO :Chiunque si esalta sarà umiliato


La parabola del fariseo e del pubblicano che Luca al Cap. 18,9-14 riferisce viene introdotta dallo stesso evangelista con una premessa. Affermando che appunto la parabola si rivolge ad alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri, vuole dire che non è la preghiera quello che conta nel rapporto con Dio ma è l’atteggiamento del cuore e della mente dai quali la preghiera muove.

Luca nella sequenza del racconto che la liturgia delle ultime domeniche ci propone ha avviato una catechesi sulla preghiera indicando quindi nei brani proclamati il senso, il significato , il valore , le modalità della preghiera per arrivare ad una conclusione importante. E’ l’atteggiamento dell’uomo che prega di fronte a Dio che fa la differenza di ogni cosa.

Per meglio capire questo sottile filo rosso che ha legato appunto i brani delle passate domeniche fino a quello di oggi e ha intessuto un discorso sulla preghiera occorre fare una considerazione sull’interiorità dell’uomo. Ovvero sulla continua ricerca da parte dell’uomo di una vita interiore. Vita interiore che in definitiva significa per il cristiano un esodo, un cammino di liberazione durante il quale si perde il proprio io e si guadagna Dio .

L’esodo del popolo ebraico non è un avvenimento storico da ricordare ma è un’esperienza di vita da vivere.

Il popolo dopo la liberazione dalla schiavitù d’Egitto afferma “ noi eseguiremo e ascolteremo” c

; una affermazione che sembra almeno capovolta perché normalmente prima si ascolta e poi si esegui. Qui invece l’eseguire prima di ascoltare sta a significare che non si fa un patto una volta per tutte ma che tutti i giorni questo patto va rinnovato che il Signore va ascoltato tutti i giorni come un padre che ci conduce.

In altre parole un cammino in cui con costanza , continuamente , momento dopo momento si promuove l’abbandono delle passioni , dei modi di vedere e di vivere che cristallizzano la nostra esistenza, le cose e il mondo che ci circonda per far posto dentro, quindi nella propria interiorità a Dio. Un Dio che deve essere messo in condizioni di essere ascoltato quando ci parla da dentro , di occupare ogni cosa perché , in definitiva , è questa la conquista fondamentale che una vera vita interiore . Una vita che ci apre l’orizzonte ad una consapevolezza quella che solo in questo modo riusciamo a colmare i nostri limiti.

Essere capaci di riconoscere i nostri limiti e quindi far spazio a posto a Dio a cui affidare ogni cosa della nostra vita . In questa prospettiva si riesce a capire anche il problema della sofferenza individuale e si comprende la forza che da questa convinzione e consapevolezza si sprigiona. E’ la forza del Signore che ci sta vicino .

La conquista di una vita interiore dunque è una ricerca costante dell’uomo d’oggi che tende così alla ricerca dell’incontro con Dio. Questa voglia e ricerca di interiorità ci aiuta a capire gli atteggiamenti del fariseo e del pubblicano passando per il testo del Siracide che è una specie di porta di accesso o di chiave di decifrazione delle letture della XXX domenica del tempo ordinario e in particolare del testo di Luca.

Il Siracide al Cap. 35 (15b-17, 20-22°) afferma che per il Signore non ci sono preferenze perché egli è giudice e per questo la preghiera del povero e dell’oppresso raggiunge direttamente il suo cuore. Perché questa preghiera “ attraversa le nubi, né si quieta finchè non sia arrivata, non desiste finchè l’Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilita l’equità.”

Così dicendo il Siracide ci introduce alla parabola del fariseo e del pubblicano.

La preghiera del cristiano è un “ culto esistenziale” quindi coinvolge totalmente la persona. Q In questo coinvolgimento però azioni e rettitudine di cuore devono andare di pari passo. Le azioni esterne , i gesti, seppure ineccepibili , devono essere accompagnate da un animo purio e soprattutto umile di fronte a Dio.

Il fariseo , ha comportamenti esteriori ineccepibili , anzi per alcuni aspetti va positivamente oltre le prescrizioni della legge: digiuna due giorni alla settimana e non uno, offre per esempio più del dovuto per quanto riguarda il suo patrimonio . Quello che però manca è l’umiltà di riconoscere che tutto questo ha un limite , il limite proprio insito nella creatura umana , quel limite che solo Dio può colmare

. Egli rimane in piedi e quasi attende la ricompensa per quello che egli ha fatto e che ritiene metterlo in condizioni di vantaggio .

Paolo ha già detto che la sola osservanza della legge non basta per la salvezza , che la legge non giustifica e quindi è solo l’amore per Dio che salva. Un amore che quindi ci mette nella condizione di riconoscere i nostri limiti e quindi di affidarci a lui . Rispettare la legge non ci pone nella condizione di avanzare pretese.

Senza pretese dobbiamo riconoscere di aver bisogno di lui e che senza di lui si perde il senso e il significato delle cose e della vita stessa.

E’ in sostanza l’atteggiamento del pubblicano che non osa alzare gli occhi al cielo perché è consapevole dei suoi limiti ed è consapevole che il nostro aiuto viene solo dal Signore.


Così in definitiva, il senso di tutte le letture proclamate nella XXX domenica del tempo ordinario sta proprio in quell’affermazione di totale umiltà che fa Paolo nella seconda Lettera a Timoteo. Paolo ormai vecchio e pronto a ricevere la corona di giustizia dal giudice giusto afferma di aver potuto combattere la buona battaglia, di aver potuto terminare la corsa , di avere conservato la fede non per merito suo. Bensì perché il Signore gli è stato vicino e gli ha dato la forza di portare a compimento le sue opere.

E’ il Signore che libera e che salva. E’ il Signore che spontaneamente dà. Basta solo fargli posto nel cuore e nella vita.


Eremo Via vado di sole, L’Aquila, domenica 24 ottobre 2010



Nessun commento:

Posta un commento