venerdì 29 ottobre 2010

HISTORICA : Il montepulciano della Valle Peligna (II)


HISTORICA : Il montepulciano della Valle Peligna ( II )

Nel Settecento la vitivinicoltura attraversa un periodo di floridezza e progresso tecnico come dimostra l’istituzione di numerose scuole agrarie e la pubblicazione di vari trattati che suggeriscono nuove pratiche enologiche atte a migliorare il prodotto per renderlo più competitivo nei confronti della concorrenza francese che già allora si presentava massiccia. Il vino abruzzese in questo periodo viene esportato prevalentemente a Venezia e in Jugoslavia.

Anche la zona della Valle Peligna conosce un periodo di grande rigoglio, come ci testimonia una interessante pagina dello storico napoletano Michele Torcia, in cui viene descritta l’arboricoltura locale: “per concepire il carpoforo carattere della superba Vallata Pelina, basta notare le sole seguenti specie di pere e mele: cioè pere-butiro, cosce-di-monache o cannelle, in Francia dette cuisses-de-dames; verde-lungo, spadoni, angeliche, spino-carpio, butirro, bergamotto, carmisino, buon-cristiano, e quelle dette 33 once, a Napoli pera-a-rotolo, dagli antichi, decumane e trilibri.

Le mele poi sono poi genovesi con quei supposti gelati, apie di ogni qualità e limoncelle. Le Uve muscatella, muscatellone, zibibbo, non grosso come l’arabo Zebib di Calabria e Sicilia di cui fansi i passi psythii, ma piccolo; lacrima, Monte-pulciano, cornetta, pane (bumasta), del Vasto senza granelli, e la malvasia (…). La stessa varietà ammirasi ne’ fichi, prune, cerasi o ciliegie, frambose, fragole, arbuti, ammendole particolarmente ne’ tenimenti di Vittorito ed Introdacqua. Tutti i luoghi aprichi producono anche ottimi vini, ed imbottati nelle gelide cantine di Scanno acquistano un gusto superiore; Marziale infatti sembra preferirgli ai vini marsi” (Viaggio nel paese dei peligni, 1792, pp. 66-67).

Quando nel giugno 1796 il Re delle Due Sicilie, Ferdinando IV, venne a Sulmona per ispezionare le forze armate napoletane in previsione di un loro impiego contro le truppe francesi, fu ospitato nell’Oratorio dei Filippini, dove venne imbandito un pranzo accompagnato dai migliori vini peligni. In tale occasione, Francescantonio e Luigi De Sanctis, due fratelli, avvocati entrambi in Sulmona, pubblicarono l’opera: Notizie storiche e topografiche di Solmona con l’evidente intento di accattivarsi la benevolenza del sovrano. Anche questo testo ci fornisce una serie di interessanti notizie sull’agricoltura peligna. Questa pianura viene dappertutto irrigata da fonti, fiumi, e ruscelli, che nei più fervidi calori dell’estiva stagione la rendono verdeggiante e fertilissima. Lande produce il suo territorio tutt’i generi necessari all’umano sostentamento, ed allo scambievole commercio; menocché le arance, ed olive, le quali vi si rinvengono in piccola quantità. Produce dei vini preziosi, ed in grande abbondanza; e quindi ne provvede tutt’i Popoli, che abitano sui monti con vicini” (“Documenti abruzzesi”; Libreria Antiquaria Tonini, Ravenna 1975).

L’importanza che nell’agricoltura della Valle Peligna veniva data alla coltivazione della vite anche nell’Ottocento ci è attestata dal viaggiatore e scrittore inglese Edward Lear che fece tre viaggi in Abruzzo negli anni 1843 e 1844. Egli, in occasione della sua prima visita a Sulmona, annotò: “Quasi tutto il suo territorio è coltivato a vigne, grano, olivi e frutteti, grazie ai quali, specie per i meloni, il distretto è famoso”. Lear, inoltre, passando per Anversa degli Abruzzi, all’estrema propaggine del comprensorio pelino, ci testimonia di un’usanza assai interessante: qui, infatti, ebbe modo di gustare un eccellente vino da pasto servito con la neve, abitudine che non tutti all’epoca condividevano e di cui già aveva parlato il poeta latino Marziale a proposito dei vini peligni.

Infine, lo scrittore e storico tedesco Ferdinando Gregorovius (1821-1891) durante i suoi numerosi pellegrinaggi per la penisola italiana, fece un viaggio in Abruzzo nella Pentecoste del 1871.

Nelle sue memorie di viaggio ci ha lasciato bellissime descrizioni della vallata peligna e interessanti informazioni sulle varietà di uve locali, addirittura ritenute dallo scrittore all’altezza di quelle di Borgogna.

L’avvenimento che sconvolse l’assetto dell’economia rurale della Valle Peligna, tradizionalmente terra ricca e prospera, è stata la comparsa della fillossera, nel 1928. Si tratta di una malattia provocata da un insetto emittero della famiglia degli Afidi, originario dell’America Settentrionale. Sui vitigni della sua area di origine non provocava seri danni, mentre, una volta giunto in Europa – pare casualmente insieme alle balle di cotone commercializzate all’inizio dell’Ottocento – modificò il suo ciclo vitale attaccando esclusivamente le radici della vite provocandone la morte. Comparve per la prima volta nel 1879 nei dintorni di Como e ben presto si diffuse in tutta Italia, determinando una grave crisi della viticoltura.

Gli anziani di Vittorito oggi raccontano che nel ’28 la fillossera colpì inesorabilmente le viti proprio alla vigilia della vendemmia, dopo un anno di duro lavoro. Mole famiglie furono gettate nel lastrico e là dove erano vigne fu coltivato grano, molto meno remunerativo. Il problema venne risolto più tardi con l’introduzione delle barbatelle formate da un portinnesto americano, resistente agli attacchi della fillossera, con innesto di vitigni autoctoni. Il problema fu dunque superato, ma la qualità dei vini ne risentì drasticamente. Chissà che profumi, che aromi doveva avere il vino della Valle Peligna prima della fillossera! Le viti di un tempo oggi non esistono più perché potrebbero sopravvivere senza portinnesto. Un patrimonio ampelografico di inestimabile valore, andato irrimediabilmente perduto.

La visita di Gregorovius nella Valle peligna viene ricordata dal nostro Ignazio Silone (1900-1978) che, in una bella pagina paragona il carattere della popolazione peligna a quello dei romagnoli, ed elogia l’eccellente qualità dei vini locali:

“Lo sbocco di quattro valli: quelle dell’Aterno, di Forca Caruso, del Gizio, del Sagittario, e la apertura verso il mare, fanno della Piana dei peligni il cuore d’Abruzzo. Un cuore generoso perché di qui partirono i primi impulsi di rinnovamento sociale, quando altri luoghi della Regione si attardavano ancor in condizioni semi feudali. L’abbondanza insolita delle acque (Peligni acquosi, scrisse Ovidio) ha favorito tanto la fondazione di stabilimenti industriali a Bussi, quanto l’alta qualità della produzione agricola. (Vi sono nella zona persino vigneti irrigui). Ma il coefficiente decisivo è stato senz’altro il carattere degli abitanti che, per certi aspetti, a me ricordano i romagnoli.

Impossibile, trovandosi a Pratola, non parlare del vino. Quando Gregorovius venne da queste parti, pagò un soldo un litro di ottima qualità. Adesso costa di più, ma la qualità è sempre eccellente. E’ un vino schietto, limpido, secco, con un bouquet che varia da paese a paese, anzi da una cantina all’altra, secondo la diversa proporzione di uva bianca e nera che, al momento della pigiatura, viene lasciata quasi sempre al caso, e secondo la temperatura dei locali e la qualità dei tini. E un vino che non ama viaggiare perché decade nel trasporto in altra altitudine, ma esso, da solo, ben giustifica un viaggio” (Abruzzo - La Terra e la Gente, Milano 1963, p.67).

“…esso, da solo, ben giustifica un viaggio”: è con questa parole di Silone che ci piace concludere questo panorama di testimonianze per forza di cose incompleto, ma che ci dà senz’altro un’idea dell’importanza che la viticoltura ha avuto nell’ambito dell’agricoltura peligna di tutti i tempi. In ogni epoca, infatti, questa coltura ha rappresentato una vera e propria risorsa economica della zona ed è stata sempre accompagnata dalla convinzione popolare che essa potesse rappresentare un mezzo di elevazione sociale. Un orgoglio vivo negli agricoltori più anziani, ma che diventa oggi, purtroppo, sempre più raro…

Ringrazio gli autori dei i contributi su questo argomento nei vari siti dedicatai alla Valle Peligna e alle aziende enologiche della zona da cui ho assunto le informazioni e brani .


Eremo Via vado di sole , L'Aquila, venerdì 29 ottobre 2010



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